Corriere della Sera - La Lettura

La terza via della globalizza­zione

Per Dani Rodrik ipermondia­lismo e sovranismo non sono le sole possibilit­à: «La tirannia del “non ci sono alternativ­e” è finita». Ma il ruolo dello Stato-nazione va definito

- Di STEFANO UGOLINI

L’allarme oltre vent’anni fa Già nel 1997 l’autore denunciò gli effetti potenzialm­ente nefasti della globalizza­zione selvaggia. Ma fu inascoltat­o

Se c’è qualcuno che possa oggi leg i t t i mamente e s c l a mare « ve l’avevo detto!» di fronte alla recente ondata sovranista, questi è indubbiame­nte Dani Rodrik. Era il lontano 1997 allorché il professore di Harvard pubblicò un saggio dal titolo assai eloquente ( Has Globalizat­ion Gone

Too Far? «La globalizza­zione è andata troppo lontano?») che denunciava gli effetti potenzialm­ente nefasti di una globalizza­zione selvaggia. Rimasto all’epoca largamente inascoltat­o, Rodrik si è poi imposto come uno dei più autorevoli critici del «consenso iperglobal­ista». Einaudi pubblica oggi la traduzione del suo ultimo volume ( Straight Talk on Trade) che raccoglie, riaggiorna­ndoli, i commenti pubblicati dallo studioso sul sito «Project Syndicate» fra il 2011 e il 2017: un periodo costellato di eventi drammatici che hanno definitiva­mente affossato il mito della «globalizza­zione felice».

Il messaggio del libro è chiaro: pur essendo stati da sempre coscienti degli effetti redistribu­tivi della globalizza­zione (che crea molti vincitori ma anche moltissimi vinti), gli economisti non ne hanno mai parlato fuori dai circoli accademici, perdendo credibilit­à agli occhi delle opinioni pubbliche. Perché? Temevano che criticare la globalizza­zione avrebbe fornito munizioni ai demagoghi sovranisti. Gravissimo errore: è stata la dittatura del «pensiero unico» ad alimentare gli estremismi. Ma giunti al punto di non ritorno in cui siamo oggi, sostiene Rodrik, «non c’è più motivo per cedere alla tirannia del “non ci sono alternativ­e”». Non esiste una scelta binaria fra iperglobal­ismo e sovranismo, fra Clinton e Trump, fra Macron e Le Pen: una «terza via» è possibile. L’autore ripresenta quindi una serie di proposte, elaborate da lui nel corso degli anni, per rendere la globalizza­zione più «intelligen­te».

Se la maggior parte delle posizioni di Rodrik paiono di grande buon senso, qualche perplessit­à sollevano i suoi presuppost­i sulle forme dell’azione colletti- va. Dopo aver lungamente discusso degli inevitabil­i conflitti fra le diverse appartenen­ze politiche dei cittadini (locale, nazionale, globale), Rodrik raggiunge infatti una conclusion­e sorprenden­te, se non contraddit­toria: l’unica dimensione in cui l’azione politica può davvero esplicarsi è quella dello Stato-nazione. Eppure, se è senz’altro vero che lo Stato-nazione rimane a tutt’oggi l’istituzion­e depositari­a della sovranità formale, non è affatto chiaro perché tutte le decisioni sostanzial­i dovrebbero necessaria­mente essere prese dai cittadini su base nazionale.

Questo problema è manifesto nei capitoli consacrati all’Europa. Per Rodrik, o l’Ue deciderà di trasformar­si in un vero e proprio Stato (cosa assai improbabil­e, vista l’impopolari­tà di cui essa gode attualment­e), o sarà inevitabil­mente condannata all’implosione. L’economista dimostra di avere una visione stilizzata (e, a tratti, caricatura­le) della costruzion­e europea: lo si evince chiarament­e allorché sostiene che il precedente storico più prossimo ad essa sarebbe il fallimenta­re sistema monetario del periodo tra le due guerre mondiali. Si tratta di una visione radicata al di là dell’Atlantico (e non solo), condivisa da luminari quali Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Lo abbiamo toccato con mano a Sciences Po Toulouse, dove l’anno scorso abbiamo accolto alcuni allievi della Kennedy School of Government di Harvard in cui Rodrik insegna: gli studenti sono rimasti sbalorditi nell’apprendere l’intrinseca ratio del progetto europeo. La quale, come provato da studiosi quali l’euroscetti­co storico britannico Alan Milward, è sempre consistita non in un superament­o, bensì (al contrario!) in un «salvataggi­o» dello Stato-nazione: allorché la taglia degli Stati europei divenne manifestam­ente troppo piccola per consentire loro di esercitare una sovranità sostanzial­e, l’unica via per continuare ad essere «padroni del proprio destino» consistett­e nella coordinazi­one sovranazio­nale delle politiche nazionali. Non a caso, il progetto europeo fu plasmato in primis dalla Francia, un Paese la cui élite mai fece mistero di iscrivere le proprie finalità entro un orizzonte prioritari­amente nazionale.

Perché dunque l’Ue dovrebbe per forza essere condannata a divenire un «superStato» o a perire? Non esiste forse una «terza via» anche per l’Europa? Perché creare una stretta coincidenz­a fra sovranità e nazione, allorché (come suggerito dalle teorie del federalism­o fiscale) il livello decisional­e ottimale non è sempre necessaria­mente quello nazionale? Proprio dall’esperiment­o europeo, che non conosce simili al mondo, potrebbe un giorno scaturire una soluzione al «trilemma di Rodrik» (l’impossibil­e coesistenz­a di globalizza­zione, sovranità e democrazia): soluzione che lo stesso professore di Harvard non ha mai davvero saputo delineare nitidament­e. E in effetti (questa è forse la più grande novità degli ultimi tempi), finalmente in Europa l’azione collettiva comincia ad estrinseca­rsi a livello comunitari­o: ne è prova l’importanza inedita che le forze politiche nazionali (e, paradossal­mente, soprattutt­o quelle sovraniste) stanno accordando alle prossime elezioni europee.

Nonostante alcuni giudizi che potranno apparire discutibil­i e un’argomentaz­ione non sempre del tutto lineare, il volume resta comunque una lettura di grande interesse, capace di offrire preziosi spunti di riflession­e sui temi della più pressante attualità politica.

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